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Intelligenza umana o artificiale? Una domanda che riecheggia il celebre dubbio amletico, «Essere, o non essere». Oggi temiamo la forza della “macchina” e la possibilità di perdere ruolo, lavoro e significato. Invece di concentrarci su ciò che l’intelligenza artificiale potrebbe sottrarci, possiamo cogliere l’opportunità di questa epoca tecnologica per investire nella ricerca e nel miglioramento dei nostri talenti naturali.
Sono i doni che rendono unico l’essere umano e che, attraverso la scoperta di sé, gli permettono di evolvere e sfuggire al malessere diffuso che chiamiamo stress.
Lo stress: la malattia del secolo.
Mal di testa, ansia, agitazione, tristezza e demotivazione sono solo alcuni dei sintomi che colpiscono circa 9 persone su 10, spesso liquidati come semplice stress. Questo termine, usato con leggerezza, finisce per sminuire un problema che non solo influenza la quotidianità sul lavoro, ma ha un impatto significativo anche sull’economia di un intero Paese. Ci siamo mai chiesti quale sia il reale costo di tutto questo?
In Europa si spendono ogni anno oltre 240 miliardi di euro, di cui quasi la metà per trattamenti sanitari. Questo costo non pesa solo sulla salute, ma colpisce la qualità del lavoro e l’intero sistema socio-economico, riducendo in generale la qualità della vita.
Mentre lo scenario della salute emotiva delle persone non è così rassicurante, le aziende sono impegnate a compiere sforzi verso una sempre maggiore digitalizzazione, adottando l’IA per sfruttare al massimo i loro dati digitalizzati, automatizzando i processi decisionali, inserendo la robotizzazione per velocizzare la produzione.
E lo fanno pensando che l’unico rischio da contrastare siano gli attacchi informatici o la violazioni della privacy, ma dimenticano che anche l’umano necessita di un percorso di “aggiornamento continuo”, non solo per imparare a utilizzare i moderni strumenti, ma per consentire di saper gestire al meglio e trasformare quel sentimento diffuso di insoddisfazione, demotivazione che è l’anticamera della malattia del secolo, lo stress.
Investire nel presente
Credo fortemente che le aziende dovranno investire nell’immediato presente, nel costruire strumenti orientati alla valorizzazione dell’essere umano, non solo accelerando le competenze hard, ma attraverso percorsi orientati allo sviluppo delle competenze trasversali, che definiscono il profilo personale di un individuo a partire non da “cosa sa fare”, ma dal “come lo fa”.
Secondo il Report del World Economic Forum, in cima alla lista delle soft skills, troviamo il pensiero critico e analitico, la capacità di risolvere i problemi e l’attitudine a lavorare in gruppo. Oltre a queste, si aggiungono capacità di autogestione, apprendimento attivo, spirito di tolleranza e resilienza.
Continuare a imparare resta in capo all’essere umano, proseguire lunga la strada dello sviluppo ed utilizzo delle risorse interiori, in quanto rappresentano gli elementi base su cui costruire nuovi comportamenti, abitudini e credenze del singolo e dell’intera collettività, è alla base dello sviluppo di una società 5.0.
Quella in cui l’umano, consapevole della sua forza, dei talenti, delle attitudini, centrato e motivato a raggiungere costantemente nuovi traguardi, abilitato ed esperto nella gestione delle emozioni e al dialogo con sé e con l’altro, può riuscire a trasformare quel sentito negativo in una approccio resiliente e quindi meno incline allo stress, alla depressione preservandosi dal rischio di malattia.
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In breve, ove la tecnologia sostituisce l’essere umano, questo spazio rappresenta per quest’ultimo un’occasione per imparare ad ascoltare il proprio corpo, distinguere l’origine dei propri pensieri, saper apprendere l’arte del problem solving, accrescere le competenze umane che sono alla base del vero significato dell’esistenza umana, mentre siamo impegnati a svolgere una professione, così che tra il fare e l’essere ci sia sempre più maggiore coerenza.
Conclusioni
In conclusione, investire sulla consapevolezza dell’uomo permette di ridurre drasticamente i costi derivanti dallo stress, dalla riduzione della produzione, dall’assenteismo e quindi consentire alle aziende di risparmiare e garantirsi un futuro sostenibile.