Ci ho pensato a lungo, seduta sui banchi della mia facoltà, chiedendomi quanto l’ambiente in cui impariamo conti davvero. Le aule in cui siamo cresciuti sono quasi sempre uguali: rettangoli ordinati, banchi in fila, una cattedra al centro, quattro pareti bianche o pastello. Questo modello rigido nasce da una visione del sapere che, come futura maestra, sento di voler superare. L’educazione di oggi ci invita a vedere l’ambiente non come un semplice contenitore, ma come un vero “Terzo educatore”, capace di influenzare capacità cognitive, emotive e relazionali. 

1. L’ambiente come Terzo Educatore e lo spazio aula 

Quando parlo di ambiente come “Terzo Educatore”, richiamo l’intuizione di Loris Malaguzzi, fondatore dell’approccio Reggio Emilia. Secondo questa visione, accanto all’insegnante e al gruppo dei pari, anche lo spazio fisico agisce come agente formativo. 

Un primo ostacolo da superare è l’antropocentrismo spaziale, cioè l’idea che l’intero ambiente scolastico debba ruotare attorno a una figura centrale — storicamente il docente. Per secoli, le aule sono state progettate come luoghi in cui l’insegnante rappresenta la fonte esclusiva del sapere e tutto il resto, dalla disposizione della luce agli arredi, è considerato secondario. 

Un esempio emblematico è la tipica disposizione dei banchi in file frontali. Questa struttura: 

  • dirige lo sguardo verso la cattedra, 
  • favorisce dinamiche frontali e non cooperative, 
  • limita lo scambio tra pari, 
  • trasmette implicitamente l’idea di un sapere unidirezionale. 

In questo modello, i compagni diventano semplici “vicini di banco” e non partner attivi nel processo di conoscenza. 

La visione di Malaguzzi capovolge completamente questo paradigma. Per lui, l’aula deve diventare un luogo di ricerca e non di trasmissione. Ciò implica un ripensamento radicale dell’ambiente come spazio dinamico, capace di evolvere e di raccontare il percorso dei bambini. 

Per rendere tutto questo possibile, occorre che gli spazi siano: 

  • flessibili, con arredi mobili e riconfigurabili; 
  • funzionali, così da adattarsi ai diversi progetti didattici; 
  • cooperativi, favorendo attività a gruppi o a coppie; 
  • narranti, con pareti che documentano il percorso tramite lavori, foto e materiali prodotti. 

Disporre i banchi “a isole”, creare angoli tematici, permettere ai bambini di scegliere dove e come lavorare sono passi fondamentali per superare la rigidità del modello tradizionale e valorizzare l’autonomia. 

2. Oltre le quattro mura: il grande insegnante esterno 

Ripensare lo spazio significa anche andare oltre l’aula e riconoscere il valore dell’ambiente esterno. In questo senso, l’Outdoor Education rappresenta un approccio pedagogico centrale. 

Non si tratta di portare i bambini all’aperto una volta l’anno, ma di integrare la natura nel processo formativo quotidiano. L’ambiente esterno non è uno sfondo neutro, ma un contesto ricco di stimoli che permette di trasformare la conoscenza astratta in esperienza vissuta. 

Quando un bambino: 

  • osserva un ecosistema, 
  • misura la circonferenza di un albero, 
  • sperimenta le caratteristiche del territorio, 
  • manipola materiali naturali, 

non sta semplicemente svolgendo un compito: sta rendendo la conoscenza concreta, corporea e memorabile. 

Questo avviene perché la natura favorisce l’apprendimento situato, secondo cui la conoscenza si radica attraverso: 

  • esperienza diretta, 
  • coinvolgimento sensoriale, 
  • attività corporea, 
  • interazione sociale. 

L’ambiente naturale diventa quindi un laboratorio di vita reale in cui il bambino sviluppa competenze cognitive, emotive e sociali, e impara a riconoscersi parte di un ecosistema più ampio. In questo modo supera anche la visione antropocentrica, scoprendo la relazione profonda con ciò che lo circonda. 

3. Conclusione 

L’esplorazione del concetto di “aula espansa” e dell’ambiente come “Terzo Educatore” porta a una verità semplice ma potente: lo spazio modella l’apprendimento. 

Il modello tradizionale, rigido e frontale, non è più sufficiente per formare bambini che dovranno muoversi in un mondo complesso e in continua evoluzione. Allo stesso tempo, l’Outdoor Education mostra quanto la natura possa diventare un’estensione viva della scuola, un luogo in cui il sapere prende forma attraverso l’esperienza. 

In definitiva, l’ambiente — interno ed esterno — non è un semplice contenitore, ma un alleato pedagogico essenziale, capace di accompagnare il bambino nella costruzione di conoscenze autentiche e nel riconoscersi parte attiva di un più vasto ecosistema. 

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