C’è un nuovo modo di dire “basta”, senza dirlo davvero. Si chiama Quiet Quitting, ed è un fenomeno sempre più diffuso soprattutto tra i giovani lavoratori, in particolare nella Generazione Z. Non si tratta di dimissioni ufficiali, ma di un lento disimpegno emotivo e operativo. Niente più straordinari, niente e-mail dopo l’orario d’ufficio, nessun compito fuori dalle mansioni.  

Si resta, ma si parte. Si lavora, ma al minimo. È una reazione silenziosa a un sistema che spesso ignora il benessere delle persone e riduce il lavoro a una corsa continua verso obiettivi imposti. Il rischio? Un calo strutturale della produttività e una crescente crisi di senso nelle organizzazioni. 

Quiet Quitting: una nuova tendenza nel mondo del lavoro

Il Quiet Quitting è una nuova tendenza nel mondo del lavoro. I dipendenti non si dimettono formalmente, ma riducono volontariamente il loro coinvolgimento, distaccandosi emotivamente e psicologicamente dal lavoro. Questo comportamento nasce spesso dal desiderio di tutelare la propria salute mentale, avere più tempo libero o per contrastare la frustrazione legata a contesti professionali poco gratificanti. 

La cultura dell’iper-produttività ha contribuito a questo fenomeno, generando livelli elevati di stress, ansia e calo dell’umore. Lavorare troppe ore, affrontare carichi eccessivi e dover rispondere ad aspettative elevate compromette la salute mentale dei lavoratori. Spesso il Quiet Quitting nasce da una percezione di ingiustizia organizzativa, in cui il contributo individuale non viene riconosciuto o valorizzato.  

Il linguaggio motivazionale, basato sull’equazione “più lavoro equivale a più successo”, ha creato ambienti tossici, in cui i lavoratori faticano a riconoscersi. Il fenomeno, però, non si limita solo all’ambito professionale: anche nelle relazioni affettive si può parlare di Quiet Quitting, quando un partner riduce il proprio impegno emotivo, comunicativo e fisico all’interno della relazione. 

Cause del Quiet Quitting 

• Mancanza di riconoscimento: quando i dipendenti si sentono sottovalutati. 
• Carico di lavoro eccessivo: che può causare burnout e stanchezza. 
• Mancanza di autonomia: che genera frustrazione e disimpegno. 
• Ambiente di lavoro negativo: caratterizzato da conflitti o mancanza di rispetto. 

Impatti del Quiet Quitting

Il Quiet Quitting può compromettere produttività, qualità del lavoro e morale del team. Aumenta anche la pressione sui colleghi, che si sentono costretti a compensare il minore impegno altrui.

Come affrontare il Quiet Quitting 

Le aziende possono adottare strategie per creare ambienti motivanti e gratificanti. Alcune proposte: 

• Riconoscere e premiare il lavoro: per valorizzare i dipendenti. 
• Promuovere l’equilibrio vita-lavoro: incoraggiando ferie e tempo libero. 
• Maggiore autonomia: per coinvolgere e stimolare i lavoratori. 
• Clima positivo: basato su collaborazione, rispetto e ascolto. 
• Comunicazione chiara delle aspettative: per allineare obiettivi e ruoli. 

Il Quiet Quitting rappresenta una sfida per aziende e lavoratori. Il disimpegno riduce la produttività, ostacola l’innovazione e rende difficile attrarre nuovi talenti. Si rischia un clima di sfiducia, che mina la coesione dei team. Secondo alcuni studiosi, il Quiet Quitting segnala una crisi di leadership: manager incapaci di cogliere i segnali di disimpegno possono amplificare il problema, con un aumento del turnover e costi elevati di formazione. Serve un cambio di paradigma nella gestione del personale, con maggiore attenzione alla valorizzazione e al supporto dei dipendenti. 

Per i lavoratori 

È fondamentale stabilire confini chiari tra vita personale e lavoro, evitando di portarsi a casa il carico mentale. Utile anche cercare supporto psicologico o partecipare a percorsi di crescita personale per gestire stress e rafforzare la resilienza. Investire nello sviluppo professionale, partecipando a corsi e aggiornamenti, accresce le competenze e il senso di realizzazione. Rivalutare regolarmente priorità e obiettivi aiuta a mantenere la motivazione. 

Per le aziende 

Le organizzazioni devono creare ambienti che favoriscano benessere e coinvolgimento. Politiche di benessere aziendale, gestione dello stress, orari flessibili e miglioramento della comunicazione interna sono fondamentali. Importanti anche trasparenza e giustizia organizzativa: chi percepisce equità è più motivato. Offrire percorsi di crescita, formazione continua e riconoscimento aiuta a rafforzare l’engagement. È essenziale promuovere un clima inclusivo, con programmi di mentorship, feedback costruttivi e valorizzazione dei risultati individuali e collettivi. 

Quando considerare un cambiamento? 

Il Quiet Quitting può essere una risposta temporanea per ristabilire un equilibrio, ma non è sempre sostenibile nel lungo periodo. È importante distinguere tra il bisogno di limitare l’impegno e la necessità di cambiare lavoro. Prima di prendere decisioni radicali, vale la pena valutare se ci siano margini di miglioramento nel contesto attuale. Se il disagio è legato a fattori temporanei, ridurre l’impegno può funzionare. Ma se dipendesse da una leadership inefficace, da mancanza di opportunità o da una cultura aziendale inadeguata, potrebbe essere il momento di cercare nuove opportunità.  

Cambiare lavoro non è una fuga, ma una scelta per costruire un futuro professionale più soddisfacente e coerente con i propri valori. Affrontare concretamente il Quiet Quitting è fondamentale. Le aziende che vorranno distinguersi dovranno investire in ambienti di lavoro sereni e positivi, basati sulla valorizzazione del talento. Adottare un approccio scientifico può prevenire i rischi e proteggere la redditività. 

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