
Ogni gesto, ogni decisione, ogni silenzio ha un peso. Nelle aziende quel peso si trasforma in conseguenze concrete per i dipendenti, per il mercato, per la crescita e il futuro. Nessun imprenditore è esente dalle conseguenze delle proprie scelte. Ma chi lo guida in quelle decisioni?
Ogni imprenditore che firma un ordine, assume o licenzia investe o taglia i costi, non agisce mai in un contesto fine a se stesso bensì in un mondo competitivo ove le decisioni sono come pietre lanciate in uno stagno in cui le onde si allargano, toccano vite, modificano equilibri e soprattutto bilanci.
Ma chi lo sostiene in una decisione quando questa comporta un rischio? Esiste una procedura che ti spiega i passi da seguire quando le azioni da mettere in campo sono ignote? La risposta è no, non esiste.
Esiste però l’esperienza e le aziende che riescono spesso sono quelle che hanno pagato per le scelte dei propri imprenditori e hanno cambiato direzione.
Un’azienda non è un oggetto statico, è un’organizzazione viva e che muta, in cui anche l’imprenditore più visionario ha bisogno di confronto, di regole condivise, di qualcuno che gli ricordi che la “visione” per definizione non è cieca!
E non c’è cultura di impresa che tenga a far cambiare la visione di un imprenditore se i numeri non tornano. E come far capire all’imprenditore che una scelta ponderata è quella che prende in esame tutti gli aspetti e non solo quello del mero profitto a breve termine?
Perché la soluzione facile esiste, ma è davvero quella giusta?
Senza un sistema che lo orienti, che gli mostri alternative sostenibili, rischia di confondere la sopravvivenza con la crescita. In realtà tutto dipende dal risultato soprattutto a medio-lungo termine, basti pensare che su 10 partite iva nate in Italia solo 5 sono arrivate al decimo anno di età (dato riferito al 2024 – fonti: Unioncamere, Registro Imprese, Istat).
Chi può fare la differenza nella scelta individuale è il supporto fornito dagli enti datoriali, quelle federazioni che non sono semplici club ma che sono quel luogo dove la domanda diventa in dialogo, dove l’errore individuale può essere prevenuto e l’esperienza diventa patrimonio. Sì, tutti quegli aiuti che all’imprenditore, soprattutto di una PMI, servono per pianificare perché non tutte le aziende sono multinazionali che fanno studi a medio lungo termine e prevedono gli andamenti del mercato.
E poi ci sono gli enti bilaterali, spesso invisibili ai più, eppure fondamentali come le fondamenta di un grattacielo. Sono loro a garantire che le scelte non siano mai dettate solo dall’urgenza o dall’interesse immediato. Che il bilanciamento tra innovazione e stabilità, tra flessibilità e diritti, tra imprenditore e lavoratore dipendente, sia il risultato di un patto per la crescita e per il benessere.
Ed è solo dopo che l’imprenditore ha il quadro completo degli elementi in gioco che può scegliere con ragione.
Senza questi argomenti dirigere un’azienda è come mettersi alla guida di un’auto senza il volante.
Ecco perché il supporto di un ente datoriale non è un lusso bensì l’antidoto alla miopia, alla pressione di scelte dettate dall’urgenza e dalla solitudine dell’imprenditore. Perché un imprenditore senza una rete di consulenti è come un capitano senza bussola: può navigare, ma difficilmente arriverà dove vuole.