
Le parole rappresentano, da sempre, un elemento fondante della civiltà umana. È grazie alle parole che possiamo strutturare i nostri pensieri, stabilire delle dinamiche sociali, trasmettere le nostre conoscenze, i nostri ricordi, i nostri sogni, le nostre ambizioni. È grazie alle parole che riusciamo a plasmare la nostra percezione sulle cose e a esprimere le nostre opinioni.
Oggi, nell’era digitale, le parole si diffondono in modo immediato e capillare, raggiungendo migliaia di persone in un istante. Questa rapidità di diffusione, però, comporta una grande responsabilità: saper scegliere le parole con cura, consapevoli dell’impatto, positivo o negativo, che potrebbero avere.
L’etica delle parole nell’era delle connessioni digitali
Le parole non si limitano a descrivere la realtà, sono anche portatrici di significati profondi e veicoli di emozioni. Le parole possono unire, abbattere barriere, innovare, ma, allo stesso tempo, possono creare muri invisibili, discriminare o alimentare conflitti. Nel mondo digitale, la velocità di diffusione dei messaggi e la sempre più diffusa mancanza di filtri comunicativi delle piattaforme social, rendono fondamentale un’educazione linguistica che promuova un uso consapevole delle parole per poter prevenire la disinformazione e la propagazione di discorsi d’odio.
L’uso improprio delle parole, attraverso stereotipi o espressioni denigratorie, può portare all’affermarsi di dinamiche di esclusione e di marginalizzazione. Per questo motivo, adottare un linguaggio più inclusivo potrebbe contribuire a decostruire pregiudizi che per anni sono stati portati avanti a discapito di gruppi di persone che si sono viste, così, messe da parte ed escluse da alcuni contesti sociali.
Nel nostro mondo iperconnesso, il linguaggio viene spesso usato in modo distorto con intenti di manipolazione o di violenza. Assistiamo sempre più frequentemente a episodi di cyberbullismo compiuti da persone che – in molti casi – si nascondono nell’anonimato e che utilizzano le parole, questo strumento così potente, con un intento negativo, scegliendo deliberatamente un lessico aggressivo e poco inclusivo.
Le fake news, i discorsi d’odio e le aggressioni verbali hanno conseguenze tangibili, soprattutto fra i più giovani. Un insulto online può portare le persone a isolarsi, a cadere in stati depressivi; una fake news può influenzare e plasmare negativamente il pensiero di molti.
Scegliere le parole giuste: un atto di responsabilità etica
In questo contesto, scegliere le parole giuste diventa un atto di responsabilità etica per ognuno di noi. L’etica del linguaggio non è un concetto da intendere come astratto, ma diventa una necessità concreta e invita a una riflessione critica sul peso che hanno determinati termini, ma anche all’accettazione della non neutralità delle parole.
“Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola” – Emily Dickinson.
Nel caos delle notifiche e dei messaggi istantanei, educarsi a un uso consapevole e attento delle parole significa impegnarsi nella costruzione di narrazioni che restituiscano alle parole il loro ruolo di strumenti di inclusione e non di esclusione. Ciò non vuol dire stravolgere completamente la nostra lingua, ma prendere coscienza di come e perché utilizziamo alcuni termini e alcune costruzioni che, seppur radicati nel nostro lessico quotidiano, potrebbero portare con sé sfumature discriminatorie.
Certamente, la responsabilità di una scelta più mirata delle parole e la promozione di un linguaggio più inclusivo e consapevole non può essere affidata al singolo individuo, ma deve essere un impegno collettivo, che coinvolga anche brand e aziende che devono prendere una posizione per quanto riguarda il loro modo di comunicare sia online che offline.
Utilizzare un linguaggio più consapevole non è solo una questione di sensibilità, ma una scelta attiva di equità e rispetto. Solo prendendo coscienza del potere delle parole e del loro valore etico possiamo trasformarle in strumenti di connessione, generando un cambiamento concreto e duraturo.